Sopprimere una persona resta un reato
“A conferma di quanto sia difficile e delicato fare leggi e deliberare in campo bioetico, è opportuno mettere in evidenza come la lunga morte del Dj Fabo continui ancora tra polemiche e vertenze giudiziarie.
Il Governo si è recentemente costituito davanti alla Consulta per chiedere che resti in vigore la legge contro l’istigazione al suicidio. Nel procedimento sollevato dalla Corte di Assise di Milano nei confronti di Marco Cappato, rinviato a giudizio per aver accompagnato dj Fabo a morire in una clinica svizzera, il governo Gentiloni si è limitato a chiedere che non fosse abolita una antica norma che punisce l’istigazione al suicidio.
Secondo fonti del Ministero di Giustizia non si tratta di un intervento contro Cappato, ma riguarda piuttosto la legittimità della norma sull’istigazione al suicidio, su cui era stato sollevato il dubbio di incostituzionalità.
Una presa di posizione tanto più necessaria da parte del Governo dal momento che riteneva possibile un pronunciamento della Corte a favore della assoluta costituzionalità del principio posto in discussione dalla Associazione Coscioni.
L’intervento del Governo non è ovviamente piaciuto alla Associazione Coscioni che avrebbe preferito una sua sostanziale neutralità, dal momento che ben 15.000 cittadini, tra cui molti giuristi, avevano chiesto al Governo italiano di non intervenire a difesa della costituzionalità di quel reato e dunque di non dare mandato all’ Avvocatura di Stato di costituirsi in tale procedimento”.
Lo riporta la Senatrice Binetti, UDC, da sempre schierata nella piena tutela dei diritti umani e dei corrispettivi doveri, a cominciare da quelli di solidarietà.
“Il paradosso nella tesi sostenuta dalla Associazione Coscioni è nella affermazione di voler far prevalere i principi di libertà e autodeterminazione riconosciuti dalla Costituzione italiana e dalla Convezione europea dei diritti umani. Da questo principio sarebbe derivato il diritto di Fabio A. ad ottenere in Italia il tipo di assistenza che ha cercato all’estero con l’aiuto di Marco Cappato. Un diritto che ha esitato nella morte del Dj, cercata e voluta con ogni mezzo possibile.
In realtà il diritto all’assistenza e alla cura è un diritto che ha come sua naturale interfaccia la vita e la disponibilità ad aiutare il soggetto a trovare motivi per vivere e non alibi per morire.
Non c’è dubbio che se in Italia si affermasse il principio che è lecito aiutare a morire chi afferma di voler morire e invoca una pluralità di forme di suicidio, diventerebbe lecito: spingere una persona giù dal ponte; armare un’arma e mettergliela in mano; disporre una corda sullo stipite di una finestra o su di una parete; preparare un cocktail micidiale da far bere a chi chiede di morire, e così via dicendo.
Basterebbe pensare alla lunga fila di pazienti depressi, malati e stressati dalle pesanti difficoltà della vita quotidiana; oppure pazienti scarsamente consapevoli delle conseguenze di una loro richiesta come potrebbe accadere per le tante forme di demenza senile, Alzheimer incluso.
Una relazione di aiuto efficace contribuisce a rimuovere le cause che spingono una persona a desiderare di anticipare la propria morte; aiuta a far individuare il senso di una vita quando sembra che lo abbia smarrito nei meandri della propria sofferenza.
Sopprimere una persona, per quanto possa apparire un gesto di solidarietà, quando è lei a chiederlo, resta un reato perché contraddice all’essenza stessa della responsabilità con cui ognuno di noi declina la sua libertà e aiuta gli altri ad essere e a sentirsi più liberi.”